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Video&Business – BFO 2013

Speech di 25 minuti su video, web e business. Il video, un’opportunità per le aziende.
http://www.ustream.tv/recorded/34962575

Spot campagna civica

Nell’ambito della campagna civica “Vigonza Siamo Noi” ho realizzato con gli amici della Fraternitas Gunzae uno spot. una volta si sarebbe chiamata pubblicità progresso.

Nuovo dominio

Il sito ha un nuovo dominio: http://www.stefanobrunoro.com.

Piccoli passi per crescere.

Open Space Technology

[View the story “Open Space Technology a Mestre” on Storify]

Nell’epoca della comunicazione digitale – La cultura convergente, il caso You Tube.

Siamo in un momento storico dove a più riprese si invoca la convergenza multimediale e si indica come futuro obbligato il modello della rete web, in special modo del web 2.0, quello dei social networks, quello della partecipazione.
You Tube, il noto portale di video sharing, è diventato il luogo ideale per capire come agisce la cultura partecipativa in un’epoca di convergenza dei media. Convergenza che vive però in un equilibrio precario almeno nel nostro paese, dove i network broadcast vivono con dissimulato fastidio la crescente popolarità del web che specialmente tra le fasce di giovani e giovanissimi sta erodendo l’audience delle tv generaliste a favore appunto della rete.
You Tube è uno spazio mediatico ibrido dove convivono l’amatoriale, l’attivismo socio-politico dal basso (grassroots), ma anche il mondo commerciale e governativo. E’ quindi un universo eterogeneo, permeabile, che lascia ampi varchi a pratiche discutibili. Come l’astroturfing: il far passare per movimenti e iniziative spontanee di cittadini presenti e radicati sul territorio (grassroots) una realtà pianificata da un gruppo organizzato. Vengono ad esempio caricate video recensioni o commenti positivi su prodotti e aziende che si nascondono dietro a utenti difficilmente identificabili.  Niente di nuovo, per carità, una volta lo si faceva con i broadcast generalisti. Il web in questo caso è solo più accessibile e meno controllabile.
You Tube è diventato esso stesso un mezzo di  comunicazione di massa, soprattutto grazie all’esposizione su altri siti di social networking. La vera rivoluzione è stata rendere semplice diffondere i contenuti di You Tube, che è diventato così un paradigma di accessibilità. Al contrario della vecchia collosità con cui  ogni network attirava a sé cercando di non far scappare i propri utenti You Tube compenetra altri canali di comunicazione. Il vero valore è dato così dal ruolo attivo dei consumatori e dalla loro maggiore consapevolezza
Con la maturità del web 2.0, quello dei  social networks, sta nascendo una cultura partecipativa che creerà un modello al quale tutti i media, con i loro tempi, dovranno adeguarsi. Già molti giornali aprono ai lettori attraverso commenti, blog collegati, embedding di video.
Ecco allora emergere la figura del Citizen Journalist. D’altra parte ormai ognuno ha una fotocamera o addirittura una videocamera sul cellulare e alcune storie che prima non erano raccontabili ora vengono alla luce. Basti pensare che addirittura l’esecuzione di Saddam Hussein è stata raccontata così. Ed è stato Twitter a raccontare per primo il blitz di Abbottabat con la morte di Bin Laden, e Facebook ha ricoperto un ruolo di aggregazione straordinario per le rivolte in Tunisia, in Algeria e in Egitto.
Restano comunque delle questioni aperte, specialmente in un paese digitalmente arretrato come il nostro. Ci si chiede ad esempio se la politica imparerà a usare You Tube e il web 2.0, che incarnano una visione di cultura politica più popolare. E più aperta al confronto.
E poi, quali saranno le relazioni tra economia del dono e marketing? Come riusciranno a convivere l’amatoriale e il commerciale?
Si è inoltre notato che una cultura partecipata non è ancora una cultura diversificata. I filmati più visti sono in larga parte prodotti da maschi bianchi della classe media, che sono anche di gran lunga i soggetti più rappresentati. Si dovranno studiare meccanismi che possano produrre una diversificazione e una democratizzazione di questi strumenti.
Infine una riflessione sugli standard culturali. Si pensa che l’apertura all’amatoriale possa abbassare oltre alla qualità tecnica dell’offerta, anche la qualità culturale. Sempre che la televisione generalista possa ancora parlare di una certa qualità culturale.
Sicuramente almeno per quanto riguarda il mondo del video amatoriale non si può ridurre il tutto al prodotto, perché bisogna riconoscere un valore anche al processo di creazione. Ogni forma d’arte ha bisogno di luoghi di sperimentazione, di apprendistato e di condivisione. I luoghi virtuali offerti oggi generano anche feedback e discussioni tra i partecipanti.
In più “cattiva arte” genera meccanismi di partecipazione nel nome del “ma io posso fare di meglio”! E se come afferma Theodor Sturgeon “lo sporco è il  90% di qualsiasi cosa” ampliando la base quel 10% che rimane sarà molto più numeroso.

Pubblicità

Nell’epoca della comunicazione digitale – Il ruolo dell’informazione

L’informazione, ma più in generale l’intero mondo della comunicazione ha conosciuto nell’epoca digitale una vera e propria rivoluzione, di cui ancora si fatica a riconoscere la portata. La proliferazione di nuovi mezzi, a partire da quel gran contenitore che è il web, ha portato ad una produzione, accessibilità e condivisione  dei contenuti mai sperimentate nella storia. Il volume complessivo dei dati digitali generati e condivisi raggiunge cifre impressionanti: l’unità di misura è ormai il fantascientifico zettabyte, mille miliardi di gigabytes. Per dare un’idea uno zettabyte corrisponde a 180 milioni di volte il contenuto della biblioteca del Congresso di Washington.  E non importa in questo momento quanto di questo volume enorme di parole, immagini, audio e video sia solo spazzatura.

Questa è l’epoca della convergenza, non tanto degli strumenti quanto delle funzioni e chi fa informazione ne deve essere primariamente consapevole. Deve conoscere le peculiarità di ogni strumento, del suo pubblico e dei suoi tempi e modi di fruizione. Deve saper scrivere un buon pezzo per la carta stampata, dare notizie in tempo reale e senza interruzioni sul web, deve produrre video per le emittenti e per gli utenti in mobilità. Deve insomma saper raccontare al meglio la storia con strumenti narrativi diversi, a pubblici diversi e in momenti diversi.

Internet è diventato il canale fondamentale a cui guardano anche gli altri media. Internet fagocita gli altri codici, la scrittura in primis, ma ora sempre più anche l’audiovisivo. You Tube, il portale di video per antonomasia, è anche il secondo motore di ricerca dopo Google. Ciò significa che quello che cerchiamo nel web sono sempre di più i contenuti multimediali. Si stima che solo su You Tube vengano visualizzati un miliardo di video al giorno in tutto il mondo. Anche in Italia la televisione generalista segna il passo al web per alcune fette di audience come i giovanissimi e la fascia 18-34 anni.

E il 75% dei 18-34enni italiani usa ogni giorno un social media. I social media rappresentano essenzialmente interazioni virtuali tra persone. Da Facebook a Twitter, fino a Linked In e alla miriade di blog che popolano la rete.

Un universo che per molti cittadini del mondo è diventato un luogo dove spendere molto del proprio tempo per relazionarsi, ma anche per informarsi. E non è un caso che la rivoluzione digitale abbia investito soprattutto la carta stampata: 24 dei 25 giornali più importanti del mondo hanno registrato un calo di vendite importante e le stesse redazioni si stanno modificando. Se è vero che da sempre si è data molta importanza al tessuto di relazioni che deve saper tessere un buon giornalista, oggi questo non basta più. Perché la rete più che un semplice mezzo è la forma di relazione principe nell’era digitale, dove il giornalista deve essere un nodo collegato ad altri nodi, i ruoli si confondono e le funzioni si moltiplicano.

Il ritmo dell’innovazione non rallenterà e le tipologie di contenuti, oltre alle piattaforme di distribuzione, continueranno a moltiplicarsi. La sfida aperta dai nuovi canali deve diventare un’opportunità più che una minaccia anche nel nostro paese, dove i problemi strutturali di una rete non all’altezza e quelli culturali e politici di un’agenda digitale ancora da pensare rischiano di penalizzarci da qui ai prossimi anni.