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Nell’epoca della comunicazione digitale – La cultura convergente, il caso You Tube.

Siamo in un momento storico dove a più riprese si invoca la convergenza multimediale e si indica come futuro obbligato il modello della rete web, in special modo del web 2.0, quello dei social networks, quello della partecipazione.
You Tube, il noto portale di video sharing, è diventato il luogo ideale per capire come agisce la cultura partecipativa in un’epoca di convergenza dei media. Convergenza che vive però in un equilibrio precario almeno nel nostro paese, dove i network broadcast vivono con dissimulato fastidio la crescente popolarità del web che specialmente tra le fasce di giovani e giovanissimi sta erodendo l’audience delle tv generaliste a favore appunto della rete.
You Tube è uno spazio mediatico ibrido dove convivono l’amatoriale, l’attivismo socio-politico dal basso (grassroots), ma anche il mondo commerciale e governativo. E’ quindi un universo eterogeneo, permeabile, che lascia ampi varchi a pratiche discutibili. Come l’astroturfing: il far passare per movimenti e iniziative spontanee di cittadini presenti e radicati sul territorio (grassroots) una realtà pianificata da un gruppo organizzato. Vengono ad esempio caricate video recensioni o commenti positivi su prodotti e aziende che si nascondono dietro a utenti difficilmente identificabili.  Niente di nuovo, per carità, una volta lo si faceva con i broadcast generalisti. Il web in questo caso è solo più accessibile e meno controllabile.
You Tube è diventato esso stesso un mezzo di  comunicazione di massa, soprattutto grazie all’esposizione su altri siti di social networking. La vera rivoluzione è stata rendere semplice diffondere i contenuti di You Tube, che è diventato così un paradigma di accessibilità. Al contrario della vecchia collosità con cui  ogni network attirava a sé cercando di non far scappare i propri utenti You Tube compenetra altri canali di comunicazione. Il vero valore è dato così dal ruolo attivo dei consumatori e dalla loro maggiore consapevolezza
Con la maturità del web 2.0, quello dei  social networks, sta nascendo una cultura partecipativa che creerà un modello al quale tutti i media, con i loro tempi, dovranno adeguarsi. Già molti giornali aprono ai lettori attraverso commenti, blog collegati, embedding di video.
Ecco allora emergere la figura del Citizen Journalist. D’altra parte ormai ognuno ha una fotocamera o addirittura una videocamera sul cellulare e alcune storie che prima non erano raccontabili ora vengono alla luce. Basti pensare che addirittura l’esecuzione di Saddam Hussein è stata raccontata così. Ed è stato Twitter a raccontare per primo il blitz di Abbottabat con la morte di Bin Laden, e Facebook ha ricoperto un ruolo di aggregazione straordinario per le rivolte in Tunisia, in Algeria e in Egitto.
Restano comunque delle questioni aperte, specialmente in un paese digitalmente arretrato come il nostro. Ci si chiede ad esempio se la politica imparerà a usare You Tube e il web 2.0, che incarnano una visione di cultura politica più popolare. E più aperta al confronto.
E poi, quali saranno le relazioni tra economia del dono e marketing? Come riusciranno a convivere l’amatoriale e il commerciale?
Si è inoltre notato che una cultura partecipata non è ancora una cultura diversificata. I filmati più visti sono in larga parte prodotti da maschi bianchi della classe media, che sono anche di gran lunga i soggetti più rappresentati. Si dovranno studiare meccanismi che possano produrre una diversificazione e una democratizzazione di questi strumenti.
Infine una riflessione sugli standard culturali. Si pensa che l’apertura all’amatoriale possa abbassare oltre alla qualità tecnica dell’offerta, anche la qualità culturale. Sempre che la televisione generalista possa ancora parlare di una certa qualità culturale.
Sicuramente almeno per quanto riguarda il mondo del video amatoriale non si può ridurre il tutto al prodotto, perché bisogna riconoscere un valore anche al processo di creazione. Ogni forma d’arte ha bisogno di luoghi di sperimentazione, di apprendistato e di condivisione. I luoghi virtuali offerti oggi generano anche feedback e discussioni tra i partecipanti.
In più “cattiva arte” genera meccanismi di partecipazione nel nome del “ma io posso fare di meglio”! E se come afferma Theodor Sturgeon “lo sporco è il  90% di qualsiasi cosa” ampliando la base quel 10% che rimane sarà molto più numeroso.

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